Anche se il suo sviluppo è stato lento e faticoso, oggi Grosseto, capoluogo di Provincia, motore amministrativo della Maremma, si avvia a raggiungere gli oltre ottantamila abitanti. L’agricoltura è stata da sempre una delle sue risorse (tanto che l’intera Provincia ha ottenuto il riconoscimento di primo Distretto Rurale d’Europa). Negli ultimi decenni si è assistito ad un timido affacciarsi di iniziative industriali che non è arrivato ancora a modificare realmente l’assetto economico della città. Il turismo negli ultimi decenni è divenuto un’importante risorsa del territorio, di indiscusso fascino per le bellezze storiche e paesaggistiche, ma la città in sé è rimasta spesso fuori, a torto, dagli itinerari turistici. Oggi Grosseto, grazie ad una serie di interventi recenti, offre varie mete degne di nota.
L’ingresso del parco è in località Alberese. Il nome deriva dall’antico monastero di S. Maria in Monte Alborense, i cui grandiosi ruderi sono attualmente compresi nel territorio del parco. La storia di quest’area, difficile da sfruttare nel passato perchè paludosa, come buona parte della Maremma, è esemplare: dopo secoli di abbandono, conobbe una lunga fase di recupero grazie agli interventi lorenesi, volti al risanamento idro-geologico, economico e sociale della Maremma. In particolare, per volontà di Leopoldo II, si dette vita ad un’intensa opera di bonifica della pianura, continuata dal figlio Ferdinando, dopo l’Unità d’Italia, e proseguita ininterrottamente sino agli anni Cinquanta del secolo scorso; si provvide a canalizzare la zona per lo scolo delle acque (si ricorda in particolare il canale essiccatore presso la foce dell’Ombrone), venne impiantata la pineta di circa 600 ettari e si introdussero le prime macchine agricole. Lo stesso Leopoldo II acquistò l’azienda di Alberese, che divenne un modello di gestione aggiornata ed efficiente. Più tardi, nel 1902, venne introdotta la mezzadria per razionalizzare lo sfruttamento del territorio. Dopo la prima Guerra Mondiale, l’azienda fu espropriata dal governo italiano, che nel 1926 ne affidò la gestione all’Ente Opera Nazionale Combattenti che ebbe il compito di completare l’opera di bonifica. Infatti, nonostante che i lavori fossero stati intrapresi da tempo, il territorio era ancora prevalentemente composto da paludi permanenti con aree a macchia, a bosco e a pascolo. Grazie all’impegno di decine e decine di famiglie provenienti dalle regioni venete, che qui si stabilirono, dando origine ad una vera e propria isola etnica, venne attuato un grandioso programma di bonifica integrale. Frutto di questo grande impegno fu una radicale trasformazione del paesaggio, oggi caratterizzato da vasti appezzamenti di terra ben curati e produttivi. Dal 1978 la tenuta di Alberese è passata alla Regione Toscana. L’ultimo retaggio dell’ambiente palustre è oggi visibile nella parte nord del parco, a partire da Principina a Mare. Oggi questa zona, non costituendo più un pericolo, rappresenta uno degli spettacoli più affascinanti della natura: si tratta di un ecosistema ricchissimo di produzione organica, in cui trovano il loro habitat molte specie animali e costituisce il luogo privilegiato di sosta e di cova per branchi di uccelli. Flora e fauna convivono qui in un equilibrio perfetto: lungo le acque stagnanti si ammirano giunchi, canne e cisti, che molto spesso costituiscono il riparo prediletto di volatili o altri animali. Uccelli rari, come il cavaliere d’Italia, il germano reale e molti altri ancora trovano qui il cibo necessario al loro sostentamento. Inoltre qui sostano, per riposarsi dei loro lunghi viaggi, uccelli migratori di ogni genere. Nel Parco si trovano numerosi canali di bonifica, fra i quali il già citato canale essiccatore che, raccolte le acque della conca bonificata di Alberese, si immette proprio nella foce dell’Ombrone. Sulle sponde dei canali si ammira una grande varietà di vegetazione, nella quale si nascondono testuggini e bisce d’acqua. La stessa ricchezza faunistica si registra anche nel più pulito tra i fiumi della Toscana, l’Ombrone, vero paradiso per pescatori. L’attività della pesca è tuttavia sottoposta ad una rigida regolamentazione secondo la quale soltanto un numero limitato di pescatori (sessanta sui sei km di sponda) può dedicarsi al proprio hobby. Fra l’Ombrone e la punta di Collelungo si estende la rigogliosa pineta dell’Alberese, impiantata nel 1844 su terreni precedentemente palustri. Alle spalle si ergono i Monti dell’Uccellina, che nel passato costituivano un’isola, come testimonia l’abbondante presenza di pietre calcaree. Sono percorsi internamente da numerose grotte, scavate dall’erosione e comunicanti fra di loro: in una di queste, la Grotta della Fabbrica, sono stati rinvenuti ossa e attrezzi risalenti al Paleolitico; costituiscono un raro esempio di ambiente incontaminato: i rilievi sono ricoperti dalla rigogliosa vegetazione della macchia mediterranea, fra cui spiccano il lentisco e il corbezzolo. Nelle poche radure, originate da incendi o tagli, crescono bassi arbusti profumati, come l’erica e il rosmarino, che diffondono il loro aroma per tutta l’area. Non insolito veder pascolare branchi di cinghiali o piccoli gruppi di daini, anche di giorno.
Sulle rocce si aggrappano le rare palme nane, caratteristiche del territorio. I Monti dell’Uccellina costituiscono l’essenza stessa della Maremma e riuniscono, in un ambiente selvaggio ed intatto, tutta l’asprezza di questa terra, in cui le presenze animali, vegetali e umane, non possono che essere le più resistenti per sopravvivere. Il Parco rappresenta un importante punto di riferimento non soltanto per l’amante della natura, ma anche per chi ama conoscere memorie storiche: sulle cime e lungo i crinali si ammirano torri d’avvistamento risalenti al periodo della dominazione senese e successivamente inglobate nel sistema fortificato dello Stato dei Presidi. Sette sono gli esemplari ancora esistenti: le torri della Trappola, di Castelmarino, di Collelungo, dell’Uccellina, di Cala di Forno, della Bella Marsilia e delle Cannelle. Molte di esse sono legate a leggende che hanno come protagonisti belle principesse e crudeli saraceni.
Il Museo Archeologico
Un’ampia selezione dei reperti archeologici di Roselle e di tutta la Maremma è conservata al Museo Archeologico e d’Arte della Maremma in Piazza Baccarini, a pochi passi da Corso Carducci, che di frequente ospita anche mostre temporanee, considerato uno dei più importanti musei della Toscana per qualità e quantità di reperti. La storia del museo comincia nella seconda metà del XIX secolo, quando il canonico Giovanni Chelli, sacerdote senese, iniziò a raccogliere oggetti eterogenei, tra i quali numerose urne cinerarie etrusche di varia provenienza, nella biblioteca da lui aperta nel 1860, senza nessun criterio scientifico. Il primo allestimento basato sul criterio della provenienza dei reperti si deve a Gian Francesco Gamurrini, nella seconda metà dell’Ottocento. Dopo varie vicissitudini, la direzione della Biblioteca-Museo fu assunta da Antonio Cappelli, che trasferì la collezione in Via Mazzini e incrementò la raccolta, oltre che inaugurare il Museo Diocesano nei locali sopra la sacrestia del Duomo (1933). Dopo la sua morte, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale provocò un abbandono del Museo che subì danni e spoliazioni. Nel 1955 il Museo riaprì, ma l’alluvione del 1966 causò nuove distruzioni. Finalmente, nel 1975 fu inaugurata la nuova sede in Piazza Baccarini. L’attuale allestimento, ingrandito e migliorato dopo anni di restauro, risale al 1999.
Il museo si divide in 5 sezioni per un totale di 40 sale in un ambiente luminoso che consente un’ottima osservazione dei reperti. In più è dotato di laboratori di didattica nei quali gli studenti si avvicinano all’archeologia con esperienze pratiche come le simulazioni di restauro. La prima sezione (sala 1) è interamente dedicata all’antica collezione Chelli: si tratta di oggetti molto eterogenei, fra cui urne etrusche di età ellenistica provenienti da Volterra e da Chiusi, decorate con scene mitologiche. Il vero gioiello della sala è senza dubbio una ciotola di bucchero con alfabeto etrusco graffito risalente al VI sec a.C. All’insediamento di Roselle, il principale sito archeologico della zona, è invece riservata la sezione 2 (sale 2-12), che riveste un ruolo centrale nell’intero allestimento museale, secondo un ordine cronologico dall’epoca preistorica fino alla conquista romana e alla successiva romanizzazione. Il percorso comincia dalla fondazione della città, ed al centro della sala è un plastico che delinea la struttura della pianura grossetana agli inizi del VI secolo a.C., con il Lago Prile su cui si affacciavano le due città di Roselle e Vetulonia. Oggetto di contrasto e di guerre tra le città etrusche essendo pescoso e navigabile, rimase pescoso fin dopo la conquista senese, ma in assenza di opere di canalizzazione si trasformò in palude. I materiali di questa sala provengono dall’area del foro e dalla cosiddetta “Casa con recinto”, dalla collina nord e sud. Essendo impossibile citare tutti i pezzi di rilievo, ci soffermeremo su quelli più significativi, come nella sala 3 i reperti della Casa con impluvium: ampia abitazione del VI sec. a.C., circondata da un’area coltivata, che già aveva un impluvium, che si diffonderà ampiamente in età romana. I reperti sono importantissimi perché relativi alla vita quotidiana degli abitanti, fra cui attingitoi, vasellame, kantaroi (vasi), una tegola, fornelli per la cottura dei cibi.
La sala 4 è dedicata alle necropoli più antiche, con i loro corredi funerari, tra cui la tomba a pozzetto del piccolo Larth con iscrizione: “Io sono la tomba del piccolo Larth” e due belle stele funerarie con figure di guerrieri scolpiti (una in originale e una in calco). Interessanti i reperti della casa ellenistica della collina nord (sala 7), tra cui pesi da telaio, pesi da rete, lo strigile per detergere il sudore, e le ghiande missili, oggettini di piombo a forma di ghianda che venivano lanciati con le fionde. Più oltre si trovano i reperti del periodo imperiale romano (sale 9-12), tra cui belle anfore vinarie e olearie e il tubo di piombo (fistula) con il bollo in rilievo; mentre una piccola sala ospita una ricostruzione delle terme di età adrianea, con il bellissimo mosaico della palestra, oggi perduto. Nella sala 11 sono conservate le statue della Basilica dei Bassi e dell’Augusteo, con al centro il plastico del foro della Roselle imperiale (I-III d.C.). Infine si visitano le sale relative alla fase tardo-antica, (con una serie di corredi tombali del VI e VII secolo d.C.), per concludere con la fase medioevale del sito. Al piano superiore, la sezione 3 (sale 13-23), anch’essa molto ampia, organizzata in ordine cronologico, espone i reperti archeologici della Provincia dalla preistoria alla tarda antichità. Dall’industria litica del paleolitico, si passa ai materiali di età neolitica, sino a quelli della fine età del bronzo-prima età del ferro (XI-X a.C.), tra cui il bellissimo ripostiglio di bronzi trovato all’Isola del Giglio, località Campese, negli anni ‘50 del Novecento: asce, lance, punte di giavellotto, scalpello, fibule serpeggianti, pendagli per i cavalli, bracciali.
Tra i tantissimi oggetti di gran valore, si segnalano i corredi funerari di Vetulonia, con le splendide urne cinerarie a capanna e biconiche, con copertura ad elmo o ciotola, di età villanoviana (VIII sec. a.C.) e gli oggetti in bronzo, di squisita fattura. Il periodo orientalizzante (fine VIII – inizi VI a.C.), fase di grande sviluppo economico e di intensi scambi con i paesi del bacino del Mediterraneo, si caratterizza per la presenza nelle tombe gentilizie di oggetti di raffinata manifattura orientale. Da non perdere il famoso cratere dipinto proveniente da Pescia Romana, probabilmente prodotto nella colonia euboica di Ischia di raffinatissima fattura (730-720 a.C.); nella sala 14 si segnala la tomba del Circolo delle Pellicce di Vetulonia: si notino l’elmo, il morso di cavallo (il defunto era un guerriero aristocratico), ma anche l’incensiere, le fibule, i vaghi di collana in ambra, materiale che era acquistato addirittura sul mar Baltico. Il corredo funerario del “Circolo degli Avori” di Marsiliana d’Albegna è veramente sontuoso: gli oggetti pertinenti ad una sepoltura maschile e una femminile, comprendono oggetti in avorio decorati, tra cui il celebre pettine con le sfingi affrontate, la splendida pisside (vaso per unguenti), il cui elegantissimo manico è un fiore di loto aperto, la tavoletta scrittoria, una maschera funeraria d’argento, pendagli, bracciali, e tanti altri oggetti.
Nella stessa sala, un’altra vetrina è dedicata a tombe di Vetulonia, con un elmo, collane di ambra, morsi di cavalli e la statuetta in faience azzurra del Dio Bes, dio nano che in Egitto era preposto all’assistenza della nascita del figlio del Faraone e anche in Etruria era utilizzato per la protezione dei neonati.
La sala 16 è dedicata all’Etruria classica (si segnala il corredo di Pari-Casenovole), le sale 17-19 riguardano la fase della romanizzazione, quando la cultura etrusca, che pure persiste in più aspetti (lingua, tradizioni funerarie, scrittura), viene pian piano assimilata da quella romana. Nella sala 18 troviamo delle epigrafi, la Tabula Hebana, da Heba (presso Magliano) e una stele funeraria iscritta in travertino, da Saturnia.
Nella sala 20, dedicata all’età imperiale, è il busto dell’imperatore Adriano (II d.C.) e nella sala 21 si trova l’interessante ricostruzione di un relitto di una nave romana proveniente dall’Africa (III sec. d.C.), trovato nelle acque dell’Isola del Giglio, che presentava un carico quasi completo, con le sue anfore, contenenti garum, una salsa di pesce considerata prelibata a Roma.
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